Le origini illecite del patrimonio dei Perri e le attività commerciali al servizio dei clan

L’ascesa del padre Antonio, da dipendente di bottega a costruttore di un impero economico con il sostegno delle cosche

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Francesco, Pasqualino e Marcello Perri sarebbero gli imprenditori di riferimento delle cosche operanti nel comprensorio lametino, e le aziende di cui sono titolari sarebbero asservite agli interessi e alle esigenze dell’associazione ‘ndranghetistica, alla quale sarebbero legati da un illecito accordo di reciproco e mutuo vantaggio, che gli consentirebbe di ottenere ingenti profitti grazie all’intermediazione mafiosa e in violazione delle regole del libero mercato.

Secondo gli inquirenti il carattere stabile e continuativo del rapporto di reciproco scambio e mutuo vantaggio assicurato negli anni dai Perri alle consorterie prima dei De Sensi, in seguito della consorteria Cannizzaro e, da ultimo, di quella facente capo al clan Iannazzo, sono elementi dai quali evincere il consapevole e concreto contributo alla vita e alle finalità delle famiglie mafiose che imperversano nel territorio lametino.

Con il decreto di sequestro di beni per oltre 800 milioni di euro, il collegio del Tribunale – Ufficio Misure di Prevenzione (presidente Arianna Roccia, a latere Sara Merlini e Sara Mazzotta) ha accolto la richiesta della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, che in seguito alle indagini della Guardia di Finanza ha sostenuto per i tre imprenditori non solo la sussistenza degli elementi di pericolosità sociale che motivano l’applicazione della misura di prevenzione, ma anche del presupposto che i beni oggetto del provvedimento costituiscano il frutto delle attività illecite poste in essere nel corso degli anni, avendo riguardo anche alla palese sproporzione tra il patrimonio accumulato e il reddito dichiarato.

L’ASCESA DI ANTONIO PERRI

I riscontri investigativi contenuti nell’informativa della Guardia dei Finanza hanno consentito di evidenziare come Antonio Perri avesse iniziato la propria attività lavorativa come dipendente presso una bottega di generi alimentari di Nicastro, ma che già a partire dagli anni ’80 si era messo in proprio vendendo merce soprattutto di provenienza illecita.

Da semplice garzone di bottega Antonio Perri, secondo quanto riferito da alcuni pentiti a partire da Gennaro Pulice, era stato in grado di costruire un impero nelle attività commerciali soltanto grazie agli aiuti delle cosche. Sin dagli anni ’70 Perri avrebbe venduto nei propri negozi merce rubata e contraffatta (ad esempio rietichettando prodotti alimentari scaduti), ed effettuato contrabbando di sigarette.

Secondo numerose indagini condotte dalla Dda di Catanzaro, è emerso che Antonio Perri fosse fortemente legato alla famiglia di ‘ndrangheta facente capo ai Cannizzaro. Il legame con Domenico Cannizzaro veniva suggellato con un rapporto di comparaggio. La vicinanza con i Cannizzaro consentiva a Perri di accrescere il proprio patrimonio, ma per questo era malvisto dai Torcasio, che lo individuarono come vittima di estorsione. Dopo l’uccisione di Giuseppe Cannizzaro, Perri si avvicinò alla cosca Iannazzo, nella cui sfera di influenza c’era il territorio in cui nei primi anni 2000 stava avviando la realizzazione del centro commerciale più grande della Calabria, “I Due Mari”.

FRANCO PERRI IL DOMINUS DELLE ATTIVITA’

Francesco Perri, morto il padre ed ereditati, insieme ai fratelli, tutti i suoi beni, sarebbe diventato il “dominus” delle attività di famiglia ed è indagato per associazione mafiosa come compartecipe della cosca Iannazzo oltre che per altri reati, fra cui lesioni pluriaggravate nei confronti del fratello Marcello commissionate proprio al clan Iannazzo. Francesco Perri, secondo gli inquirenti, commissionò alla cosca la gambizzazione di Marcello quando, a causa di contrasti insorti nella gestione delle attività di famiglia, minacciò di cedere le sue quote societarie.

La cosca Iannazzo avrebbe sostenuto gli interessi di Francesco Perri impedendo l’apertura di supermercati da parte di una catena commerciale concorrente, l’Eurospin, o intervenendo per allontanare dei giovani che infastidivano i clienti nel parcheggio di un suo supermercato. Il clan sarebbe anche intervenuto quando qualcuno trafugò la salma di Antonio Perri facendo in modo che fosse ritrovata. Perri, in sostanza, avrebbe instaurato con la famiglia Iannazzo un rapporto “sinallagmatico” che gli avrebbe consentito, tra le altre cose, di avere il monopolio sulla distribuzione di generi alimentari, attraverso i suoi supermercati, a Lamezia Terme.

Secondo quanto ricostruito nel decreto di sequestro, il consapevole e volontario contributo fornito da Francesco Perri attraverso le aziende operanti nel settore della grande distribuzione alimentare e del Centro Commerciale Due Mari sostanzialmente a lui riconducibili, ha consentito al sodalizio mafioso di consolidare la propria autorevolezza sul territorio e di perseguire i propri scopi, consistenti nel controllo economico e sociale del territorio, non solo e non tanto mediante l’uso della violenza, ma anche mediante la disponibilità delle imprese riconducibili a Perri in cui “collocare” fornitori e dipendenti vicini alla cosca piuttosto che ottenere lavori per le imprese edili direttamente o indirettamente riconducibili alla medesima consorteria malavitosa, oltre a varie forme di “sostegno” finanziario.

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