“La prudenza non è procedere con i piedi di piombo, ma è mettersi al passo di ciò che il Signore ci chiede”

Serafino Parisi, partendo dalle letture del giorno, ha invitato a riflettere i fedeli in occasione della celebrazione eucaristica in onore della festa di San Benedetto

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Prudenza e sapienza. Questi i due termini su cui il vescovo Serafino Parisi, partendo dalle letture del giorno, ha invitato a riflettere i fedeli in occasione della celebrazione eucaristica in onore della festa di San Benedetto, ricordando che “se ti innalzi non arriverai a nulla” e sollecitando tutti ad un cammino di fede concreto per “conoscere” realmente Dio.

“Nella mentalità orientale – ha detto monsignor Parisi – , la prudenza non è procedere con i piedi di piombo, ma è mettersi al passo di ciò che il Signore ci chiede. È la scelta di chi mette in armonia sia le proprie scelte con ciò che il Signore chiede all’uomo sia l’esistenza concreta con la volontà di Dio. Prudenza è procedere secondo il piano di Dio. Ed il contrario di questo ragionamento, che è la bestemmia, è ribellarsi a ciò che il Signore chiede ad ognuno di noi. La prudenza è un modo di camminare nella storia facendo gli stessi passi che il Signore ci chiede di compiere. Altro che procedere con i piedi di piombo!”.

“Il testo di stasera – ha proseguito monsignor Parisi – propone una progressione, un passaggio da un livello della percezione della realtà, della storia, di come si muove il mondo, a un livello che è prettamente umano, che noi non possiamo ignorare né possiamo bypassare, ma dobbiamo affrontare” per “fare questa scalata verso Dio”. Il testo, però, alla fine “capovolge” questa progressione: “In realtà non si tratta di scalare, ma di scendere. Inverte i piani. Noi, umanamente, abbiamo la ragione che non è una bestemmia e non è nemmeno il vezzo degli accademici che, dall’alto della loro torre d’avorio all’interno della quale si arroccano, vogliono dichiarare da una parte la loro incredulità e dall’altra l’impossibilità ad arrivare a Dio. Abbiamo nella storia del pensiero tante situazioni di questi tipo. Invece qui, la lettura che è stata proposta è come una invocazione a fare entrare in questo dinamismo riflessivo, argomentativo, tutti i termini che afferiscono a questo grande ambito che è l’ambito della ragione”.

“Noi – ha aggiunto il Vescovo – ragioniamo con un’idea, con una nozione di sapienza che è prettamente greca: la sofia. Qui, invece, la sapienza altro non è che quella disposizione con la quale tu sei chiamato a guardare la vita, ad accogliere la vita. Lo dico con un significato che è legato anche al nostro termine italiano sapienza che viene da sapere che vuol dire assaporare, gustare: noi siamo chiamati ad assaporare la vita. Ci sei dentro la vita, ti lasci prendere dall’esistenza oppure la tua vita sta da una parte e tu ti trovi da un’altra parte? Dove sei? Allora, la sapienza è come un anello di congiunzione tra la vita che vivi, quella che ti si presenta davanti, e la tua percezione della vita che vivi e che devi vivere. Il sapiente è colui che davvero riesce a vedere nella realtà che vive il suo desiderio: vivere. E questa forma di sapienza è contro l’alienazione, è contro quel modo di vedere la vita che sposta i problemi, i drammi, dicendo ‘poi vedrò’, poi affronterò o problemi, domani se ne parlerà. Questo è un modo per vivere in maniera deresponsabilizzante l’esistenza che va affrontata così come viene e, per affrontare l’esistenza, il testo dice: poni il tuo cuore alla sapienza e questo è l’anello che congiunge il desiderio e la realtà”.

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