Scioglimento consiglio comunale, condizionamento «della formazione del consenso elettorale e quindi dell’elezione dei componenti del consiglio comunale, e dell’imparzialità dell’azione amministrativa in senso tecnico»

Per il Tribunale lametino «ampia e interferente in via diretta e mediata sull'azione amministrativa è la competenza del consiglio comunale».

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    Di GIANLUCA GAMBARDELLA
    Tra consiglieri comunali ed assessori della giunta alternatisi in via Perugini nei 2 anni e mezzo di amministrazione Mascaro ed analizzati nella relazione della commissione d’accesso arrivata dopo l’inchiesta Crisalide, per il Ministero dell’Interno solo in 3 erano stati indicati come possibili cause dello scioglimento del consiglio comunale arrivato a novembre: proprio i 2 indagati nell’operazione Crisalide (Paladino e Ruberto, con l’ex candidato a sindaco che però era già sospeso poiché indagato nell’inchiesta Robin Hood, ritenuti responsabili di aver chiesto l’appoggio elettorale alle cosche nel 2015), ed il sindaco Mascaro (sia per propria attività professionale in quanto legale di imputati, che per omesso controllo su atti amministrativi).
    Nelle motivazioni offerte dal Tribunale lametino si ricorda come pendente ci sia il ricorso al Tar del Lazio contro lo scioglimento del consiglio comunale, ritenendo però tale procedimento altro atto «oggetto di autonomo accertamento da parte del giudice adito per la dichiarazione di incandidabiità, non essendo la pronuncia di quest’ultimo subordinata alla definizione del giudizio di impugnazione del decreto di scioglimento dinanzi al giudice amministrativo».
    Se da novembre ad oggi nessun atto amministrativo della precedente amministrazione è stato revocato dalla terna commissariale come condizionato dalla criminalità organizzata, secondo il Tribunale lametino però «appare emergere dagli atti la prova di un condizionamento dell’azione amministrativa dell’amministrazione comunale da parte della criminalità organizzata» sotto due specifici aspetti: «quello della formazione del consenso elettorale e quindi dell’elezione dei componenti del consiglio comunale, e quello dell’imparzialità dell’azione amministrativa in senso tecnico».
    Sia Ruberto che Paladino nel 2015 erano stati eletti come componenti dell’opposizione rispetto al sindaco Mascaro, con Paladino che venne eletto vicepresidente del consiglio comunale proprio come rappresentante della minoranza, passando però in maggioranza circa un anno dopo. Citando gli atti dell’inchiesta Crisalide il collegio giudicante richiama l’accusa di appoggio elettorale da parte della cosca Cerra – Torcasio – Gualtieri in favore di Paladino (reo di aver anche frequentazioni con alcuni degli indagati) e Ruberto dietro «futuri posti di lavoro presso la società Sacal, società di gestione dell’aeroporto di Lamezia Terme».
    L’essere stati in minoranza e non maggioranza, secondo il Tribunale, non è una difesa accettabile poiché «ampia e interferente in via diretta e mediata sull’azione amministrativa è la competenza del consiglio comunale, anche in materia di programmazione dell’azione amministrativa, di deliberazione in materia di spesa e di controllo politico dell’attività del sindaco e della giunta, tanto da ritenere che, in concreto, l’infiltrazione nel consiglio (anche se con candidati originariamente d’opposizione) abbia comportato un concreto vulnus all’imparzialità dell’azione amministrativa».
    Ricordando i 2 precedenti scioglimenti, la sentenza rimarca «l’esistenza di un’indicata continuità delle azioni delle cosche finalizzata al condizionamento dell’azione amministrativa appare emergere tramite l’acertamento di una continuità degli attori delle condotte invasive, appartenenti alle medesime famiglie, con una sorta di passaggio di consegne familiare tra congiunti».
    Confermando i dubbi espressi nelle relazioni su appalti, affidamenti di beni confiscati avvenuti anche da parte della precedente amministrazione comunale, il Tribunale assolve però dalla richiesta di incandidabilità il primo cittadino sollevato dall’incarico: in merito alla posizione di Mascaro in qualità di legale si ritiene che «la mera attività difensiva, anche in favore di soggetti imputati di delitti di criminalità organizzata, non può essere, tout court, posta alla base di un giudizio di cointeressenza tra il difensore e ambienti criminali» e che «la permanenza del mandato difensivo, in capo al Mascaro, peraltro per un periodo limitatissimo, anche dopo la sua elezione a sindaco, non appare, né da sola né unitamente a tutte le indicazioni probatorie, valutabile in punto di responsabilità».
    A giudizio del collegio riguardo l’indicata diffusa irregolarità amministrativa del Comune «non appare riconducibile all’azione del Sindaco neppure come omissione di vigilanza. Invero, da un canto, la difesa del Mascaro ha provato documentalmente come una parte rilevante delle delibere comunali indicate come irregolari dalla Commissione di Accesso, fossero mere esecuzioni di delibere della precedente amministrazione, ridimensionando cospicuamente, quindi, una sua responsabilità. D’altra parte emerge dagli atti un non secondario impegno di contrasto alla criminalità del Sindaco, anche tramite la Giunta Comunale».
    Per il collegio invece «emerge una non irrilevante azione del Sindaco a tutela della legalità, risulta altamente incerta la possibilità di ritenere responsabile il Mascaro, anche per omessa vigilanza».

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