Revoca scioglimento consiglio comunale, diverse discrasie tra quanto scritto nella relazione della commissione d’accesso e quanto poi inserito in quella del Ministro dell’Interno

La sentenza dovrebbe essere notificata oggi anche alla commissione straordinaria (questa mattina solo Fusaro era presente della terna che ha governato la città nell'ultimo anno)

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    Secondo il Tar del Lazio lo scioglimento del consiglio comunale decretato il 24 novembre 2017 avrebbe più di una lacuna, con 27 pagine di sentenza a giustificare l’accoglimento del ricorso che ha riabilitato l’amministrazione Mascaro (al netto di possibile ricorso al consiglio di Stato), sottolineando anche diverse discrasie tra quanto scritto nella relazione della commissione d’accesso e quanto poi inserito in quella con cui il Ministro dell’Interno chiedeva lo scioglimento del consiglio comunale.
    La sentenza dovrebbe essere notificata oggi anche alla commissione straordinaria (questa mattina solo Fusaro era presente della terna che ha governato la città nell’ultimo anno), con possibile nuovo corso dalla prossima settimana (anche se non mancherebbero gli aspetti da chiarire su singole posizioni degli eletti). 
    Il provvedimento emesso dai giudici amministrativi (Ivo Correale, Presidente facente funzioni, Roberta Cicchese, Consigliere Estensore, Roberta Ravasio, Consigliere), parte dalla considerazione dei legali Dina Marasco, Bernardo Marasco, Gianfranco Spinelli e Pietro Domenico Palamara degli ex amministratori comunali (ricorso presentato dall’ex sindaco Paolo Mascaro insieme agli assessori Giuseppe Costanzo, Stefania Petronio, Angelo Simone Cicco, Elisa Gullo, Michelangelo Cardamone) che il provvedimento «oltre a non indicare in maniera puntuale condizionamenti e collusioni determinanti l’alterazione del procedimento di formazione della volontà dell’ente, degli organi elettivi ed il pregiudizio alla sicurezza pubblica, non terrebbe in alcun conto l’intensa attività della giunta per contrastare il fenomeno mafioso», rimarcando inoltre che «a seguito di conoscenza della relazione conclusiva della Commissione d’accesso, depositata agli atti del giudizio civile di incandidabilità, i ricorrenti hanno proposto un ricorso per motivi aggiunti, individuando nuove ragioni a sostegno delle domande di annullamento già proposte con il ricorso introduttivo» contestando alla decisione di novembre 2017 «eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare, sviamento, irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, violazione del principio di proporzionalità».
    Ai giudici viene chiesto di valutare che nella relazione della commissione d’accesso «manca nel caso di specie, in sostanza, il profilo fondamentale teso a individuare il legame tra l’operato degli amministratori locali e il vantaggio, sia pure indiretto, delle “cosche” locali, attraverso gli evidenziati episodi – commissivi od omissivi – contestati», sottolineando come la «funzione “preventiva” non può concentrarsi in una mera operazione deduttiva e astratta, scollegata da elementi concreti, univoci e rilevanti idonei a evidenziare una forma diretta o indiretta di condizionamento da parte della malavita organizzata».
    La sentenza del Tar cita così le cause che hanno mosso il Ministro dell’Interno, Marco Minniti, a chiedere lo scioglimento del consiglio comunale ricordando sia il coinvolgimento di Paladino e Pasqualino Ruberto nell’inchiesta Crisalide, sottolineando che «sono appartenenti ad un raggruppamento politico diverso da quello rappresentato in giunta, né il provvedimento individua attività degli stessi idonee a condizionare l’operato dell’organo consiliare, al quale gli stessi appartenevano, o dell’organo esecutivo, del quale, come visto, non facevano parte».
    In merito ad uno dei candidati indagato durante la campagna elettorale la sentenza precisa che «non risulta eletto, così che non è dato comprendere, in assenza di indicazioni ulteriori in ordine ad una sua apprezzabile influenza sugli eletti e sugli assessori nominati, in che modo l’eventuale collegamento dello stesso con l’ambiente criminale possa aver condizionato l’operato della giunta e del consiglio» e che «il candidato sindaco odierno ricorrente, ha chiesto e ottenuto il ritiro della candidatura, così che lo stesso non ha proprio partecipato alla competizione elettorale», anche se il tutto avvenne a liste già presentate.
    Non rientrerebbe tra i casi di influenza mafiosa anche l’indagine che aveva coinvolto il padre di Francesco De Sarro in merito a presunta compravendita di voti per il figlio poiché « non erano maturati in un contesto riconducibile alla criminalità organizzata, né a diversa conclusione può giungersi in considerazione del fatto che la vicenda sia stata oggetto di discussione tra due persone intercettate».
    Poco significative vengono poi considerate anche le posizioni di singoli consiglieri alle prese direttamente o indirettamente con indagini per tramite i propri congiunti, o gli incarichi legali assunti da sindaco e vicesindaco prima di assumere il ruolo istituzionale nel secondo semestre 2015.
    In conclusione la sentenza reputa che «nessuna particolare prova di collegamenti o condizionamenti dell’operato dell’amministrazione da parte delle organizzazioni mafiose può poi trarsi dall’esame delle vicende poste alla base del disposto scioglimento, sia pure valutate nel loro insieme, tra cui quelle contrattuali menzionate dalla proposta ministeriale», sostenendo che i vari affidamenti citati nella relazione della commissione di accesso non siano prove del condizionamento mafioso.
    Gi.Ga.

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