«Oggi, per me, non è ancora giunto il tempo di parlare. Per altri, invece, sarà sempre il tempo di tacere»

Lettera della sorella di Francesco Pagliuso in occasione della cerimonia che si terrà a Soveria Mannelli oggi per celebrare il compleanno del legale assassinato

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    Mentre in Corte d’Assise a Catanzaro si è tenuta la seconda udienza davanti al Gup Pietro Carè per l’omicidio dell’avvocato Francesco Pagliuso, ucciso a colpi di pistola la sera del 9 agosto 2016, aprendo all’ipotesi di uso di altri filamati e rinviando il processo al 22 ottobre, oggi alle 17, presso il santuario di nostra signora di Fatima a Soveria Mannelli, il legale lametino sarà ricordato in occasione del suo compleanno da familiari e amici.
    Nell’occasione, la sorella, Antonia Assunta Pagliuso, ha previsto una lettera:

    Così si legge nell’Antico testamento:
    “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare”
    Oggi, che è un giorno di nuovo dolore, non è ancora giunto, per me, il momento di parlare. È ancora il tempo del silenzio.
    Un silenzio che si aggiunge a quello lungo migliaia di giorni, che si sono instancabilmente susseguiti l’un l’altro trasformandosi in mesi, riscoprendosi poi in anni.
    Un silenzio rispettoso, ponderato, a volte subito, di certo non comodo. Un silenzio, il mio, che per molto tempo si è scontrato con il mutismo di altri, di chi poteva – anzi, doveva – parlare.
    Un mutismo, quello di chi doveva parlare, pericoloso, grave, non rispettoso, indegno, che ha rischiato di alimentare un terreno di sospetti e di insinuazioni, certamente comodo per chi, pur conoscendoti, ha potuto “confortarsi” della propria pochezza in quell’insopportabile alea di sospetto che da più parti hanno tentato di associare alla tua figura. Un comportamento tanto ingiusto e che sicuramente non meritavi.
    Non meritavi il mutismo di tanti, perché tutti sapevano e sanno, in cuore loro, chi eri e come eri. Tuttavia, la consapevolezza a volte non basta.
    A volte ci vuole il coraggio di prendere una posizione, di manifestare le proprie idee ad alta voce. Il coraggio di non temere di schierarsi da una parte o dall’altra, il coraggio di abbandonare la posizione di comoda neutralità. Ma così non è stato.
    Era troppo comodo e conveniente alimentare dubbi su ciò che un giovane di 43 anni, solo e senza alcun compromesso, era stato in grado di diventare. È stato comodo per tutti lasciare che su di te, sulla tua storia, calasse quell’ombra in grado di giustificare la sufficienza altrui.
    E così, nella maggior parte delle persone che ho incontrato sul mio cammino, ho – ahimè – riscontrato la capacità di essere tutto quello che Tu odiavi e più disprezzavi della natura umana: l’ignavia, qualità propria di coloro che si rendono colpevoli di indolenza o di viltà di fronte alla responsabilità del proprio stato o della vita. “L’anima triste di coloro che visser senza infamia e senza lodo”, diresti tu…
    Oggi è il tuo compleanno Frà. Il terzo da quando non sei più qui con noi, da quando gente cattiva e esanime ha deciso, per te e per noi, che il nostro tempo su questa terra doveva terminare.
    Non sei più qui, ma io ti sento. La tua assenza è costante presenza, compagna instancabile di giorni trascorsi nella memoria di ciò che è stato. Ti riscopro negli occhi di chi ti ama, nelle gesta di chi ti ha vissuto, nelle parole di chi, anche senza saperlo, facendo suoi i tuoi insegnamenti, è testimone protagonista della tua presenza nel mondo. E in ciò intravedo la speranza.
    La speranza che tutti i tuoi insegnamenti, non ultimo quello di non piegarsi a quelle logiche malate che, ahimè, ogni tanto prendono il sopravvento, trovi ancora terreno fertile su cui attecchire, e sia un monito per chi resta e per chi verrà. Chi vive nel giusto, lascia il segno. E tu, dietro di te, hai lasciato tanto.
    Ci hai insegnato il coraggio di non vacillare davanti alla tracotanza e alle vessazioni, il coraggio di essere giusti, il coraggio di decidere e di perseverare nel rimanere onesti e leali.
    Il coraggio di assumersi le responsabilità che la propria posizione impone, troppo spesso avvicendato dal finto coraggio di chi, assumendo un contegno poco rispettoso dell’intelligenza altrui, ha scelto di esporsi quel tanto che basta a far finta di prendere una posizione, tentando impacciatamente di nascondere quello che, invece, non si ha il coraggio di dire, di denunciare, di fare.
    È omertà anche questa. E le mezze verità, i silenzi dettati dalla paura e dalla codardia, specie se promananti da chi, invece, dovrebbe essere un esempio, a volte uccidono più delle bugie e dell’infamia del più vile traditore. È passato tanto tempo forse, ma non troppo Fra. Sei qui con noi, io ti sento.
    Oggi, per me, non è ancora giunto il tempo di parlare. Per altri, invece, sarà sempre il tempo di tacere.
     

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