Entro mercoledì l’ultima parola sulla dichiarazione di dissesto al Comune di Lamezia Terme da parte della terna commissariale

Tiene banco la ricaduta economica del passivo della Multiservizi, ma la gestione Alecci aveva già altri campanelli d'allarme

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    di GIANLUCA GAMBARDELLA
    Il dissesto è inevitabile o è forzato per il Comune di Lamezia Terme? Una risposta certa ad oggi non c’è sull’albo pretorio, ma l’estate lametina oltre al termometro si scalda anche per una vicenda che scoppiata in pieno luglio dopo la segnalazione del  responsabile Uil-Fpl, Bruno Ruberto, rischia di complicare i piani politici – amministrativi autunnali, anche se da più fronti sembra che le elezioni amministrative potrebbero non tenersi a fine novembre, quando scadranno i 24 mesi non più prorogabili di commissariamento (ma che lo saranno di fatto se un nuovo commissario traghettatore porterà la città alle elezioni in primavera insieme alle regionali). 
    In ogni caso sarà sempre il Ministero dell’Interno ad avere l’ultima parola, e l’ufficialità arriverà dopo l’estate per poter permettere di far partire tutta la macchina organizzativa, a meno di un nuovo ribaltamento della situazione da parte del Consiglio di Stato nella udienza pubblica definitiva prevista il 19 settembre (presidente sarà Franco Frattini, relatore Massimiliano Nocelli che aveva iniziato nello stesso ruolo l’iter a Roma il 23 marzo, consiglieri Pescatore, Santoleri, Sestini, Ungari). Anche nel caso di un ritorno dell’amministrazione Mascaro, però, il mandato terminerà in ogni caso a giugno 2020.

    IL DISSENSO SUL DISSESTO
    Il problema è però che situazione troverà al Comune chi subentrerà. In atto sembra esserci di fatto una sorta di “gioco delle 3 carte” che ruota tra via Perugini, sede dell’ufficio della terna commissariale, e via della Vittoria/Corso Giovanni Nicotera, dove invece opera la Lamezia Multiservizi il cui concordato preventivo approvato dal Tribunale non lascia alternativa a quella di tracciare una riga al 2018 su tutti i crediti e debiti in atto, senza poter più compensare o spalmare i circa 20 milioni di perdita certificati (nei due anni precedenti la cifra era sotto i 900.000 euro annui).
    Qui però, seguendo le indiscrezioni giornalistiche ma anche le dichiarazioni dell’amministratore unico della società in house, Eliseo Bevivino, si passa alla fase “fiera dell’est”: Bevivino assicura che nessun rischio corrono le casse del Comune poiché il passivo non dovrebbe essere accollato sulle casse comunali (il Comune è il maggior azionista della società partecipata con meno del 90% di quote) ma ripianato da buone pratiche aziendali; la terna commissariale chiede al Prefetto di Catanzaro di richiedere al Ministero competente (al netto che uno dei componenti, Colosimo, lavora a Roma proprio in uno dei ministeri, quindi potrebbe de visu ricevere rassicurazioni) se ci sono gli estremi per dichiarare il dissesto; ora ferie revocate per il presidente Alecci che in settimana dovrebbe tornare in ufficio per firmare l’atto con cui deliberare il dissesto visto che entro il 31 luglio si dovrebbe approvare l’assestamento e la salvaguardia degli equilibri di bilancio (la delibera di giunta del Dup 2020-2022 avrebbe la stessa data ultima, ma è un formalismo inviso alla terna commissariale) che con circa 19 milioni di euro da accantonare non ci sarebbe più (nel bilancio di previsione 2019 è previsto un accantonamento per passività potenziali (rischi da contenzioso, per indennizzi potenziali assicurativi ed altre passività potenziali) pari a 659.594,27 euro. Inoltre con riferimento alle partecipata sono state previsti per fronteggiare passività potenziali accantonamenti da 1.000.000 euro per la Lamezia Multiservizi e 69.633.30 per la Lamezia Europa. Infine con riferimento ai debiti fuori bilancio sono previsti accantonamenti in specifici fondi per un totale di 1.735.587,72).
    Condizionali d’obbligo visto che, anche in questo caso, l’ex Prefetto de L’Aquila non ha inteso degnare di spiegazioni pubbliche la città, sebbene anche la politica si sia svegliata dal caldo torpore estivo per un aspetto non secondario: il Tuel prevede espressamente che la deliberazione dello stato di dissesto non è revocabile, ha valore per 5 anni a partire dal 1 gennaio del bilancio di previsione successivo (quindi in questo caso 2020) bloccando assunzioni, elevando al massimo i tributi ed i servizi a domanda individuale, nominando una nuova terna commissariale che gestisca la parte finanziaria con conseguenze anche per i creditori (come sa bene la Multiservizi che avanza soldi da enti pubblici, Comune di Lamezia compreso). A comporre l’eventuale terna saranno nominati fra: magistrati a riposo della Corte dei Conti, della magistratura ordinaria, del Consiglio di Stato; funzionari dotati di un’idonea esperienza nel campo finanziario e contabile in servizio o in quiescenza degli uffici centrali o periferici del Ministero dell’interno, del Ministero del tesoro del bilancio e della programmazione economica, del Ministero delle finanze e di altre amministrazioni dello Stato; i segretari ed i ragionieri comunali e provinciali particolarmente esperti, anche in quiescenza, fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili, gli iscritti nell’albo dei dottori commercialisti e gli iscritti nell’albo dei ragionieri.
    Assente nel racconto lametino la Corte dei Conti regionale, la cui Procura dovrà poi giudicare eventuali responsabilità politiche (ma l’eventuale incandidabilità decennale per i 3 commissari non sarebbe un gran danno, diversa invece l’ipotesi della sanzione pecuniaria pari ad un minimo di 5 e fino ad un massimo di 20 volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione).

    ANCORA TU, MA NON DOVEVAMO VEDERCI PIU’?
    Per certi versi si vive una sorta di déjà-vu in via Perugini: l’amministrazione Speranza, entrata in carica nel 2005 dopo uno scioglimento per infiltrazioni mafiose (anche in quel caso alla fine senza condanne per consiglieri o atti amministrativi revocati, ma la forma dell’articolo 143 del Tuel era un po’ diversa rispetto all’attuale in vigore), potendo contare su conti in ordine essendo stata riconosciuta ente di nuova formazione, chiudeva però il proprio secondo mandato evitando nel 2013 l’ipotesi dissesto, ma lasciando dal 2014 un piano di riequilibrio da rispettare che da allora comporta l’impossibilità di poter assumere personale o effettuare determinate manovre finanziarie senza prima il consenso di una commissione ministeriale. In seguito, al netto della diatriba delle parti, nei due anni di amministrazione Mascaro il tema ha lasciato sia qualche divergenza politica (vedi le prime uscite di giunta, con la delega al bilancio rimasta da allora sempre in mano al primo cittadino) che tecnica, perché i numeri saranno freddi ma le letture son sempre state fonte di animi surriscaldati e a nessuno piace ricordare che una grande fetta del problema derivi da tributi non pagati (vedi le cartelle esattoriali pronte a partire dall’Agenzia delle Entrate, con Tari non riscossa anche fino al 60% negli anni passati per citare un esempio).
    A dicembre 2017 ci fu un nuovo scambio di versioni diverse tra esponenti dell’amministrazione Speranza ed il sindaco sospeso Mascaro, ma entrambe le fazioni politiche potevano almeno citare l’articolo scritto due mesi prima da Ettore Jorio (che in via Perugini era stato consulente in qualità di legale in anni precedenti) sull’inserto Enti Locali & Pa in cui Lamezia Terme era citata come caso di possibile uscita anticipata dal piano di riequilibrio «ove a seguito di sopravvenute condizioni favorevoli (giudicati produttivi di insussistenze del passivo milionarie), capitalizzate dalle ultime due amministrazioni (di quella che ha fatto ricorso nel 2014 alla procedura di riequilibrio e di quella che è susseguita nel 2015), si sono concretizzati a oggi i presupposti di equilibrio di bilancio e, quindi, di inutilità della persistenza della procedura di riequilibrio. Una occasione buona per restituire al Comune la normalità gestionale e, ricorrendone le condizioni, per decrementare la pressione tributaria, a dimostrazione che allorquando si realizzino politiche locali attente diventa più facile conseguire risultati ottimali». 

    GLI ATTI PARLANO, MA BALBETTANO
    All’arrivo della terna commissariale, quindi, nulla faceva presagire il peggio, ed anzi se Alecci volesse contestare di aver dovuto gestire quanto trovato in eredità, la situazione tra quella iniziale e quella che lascerà sarà ben diversa anche alla luce del poco invidiabile dato di aver approvato per 2 anni di seguito fuori tempo massimo sia il bilancio di previsione che quello consuntivo (motivi che per l’articolo 141 del Tuel sarebbero sufficienti al sollecito della Prefettura ed in seguito a commissariare il Comune), non aver monitorato i flussi di cassa (vedi gli interessi che si stanno pagando su forniture in regime di salvaguardia), non aver agevolato il lavoro della macchina amministrativa che ora rischia la paralisi totale per carenza di personale. Citando il mantra di Alecci nelle rare occasioni pubbliche di confronto con la stampa, per il quale «sono gli atti amministrativi a parlare», il bilancio consuntivo 2018 dal 30 marzo non è stato approvato anche perché si attendeva la chiusura del bilancio della Multiservizi, mentre l’anno precedente erano stati i revisori dei conti a contestare l’assenza delle relazioni sulle partecipate all’interno del bilancio di previsione 2018. Qualche mese fa si è dovuto richiamare in servizio (a pagamento) un dipendente che stava finendo le ferie prima di andare in pensione poiché in via Perugini non c’era nessun altro funzionario formato e pronto a redigere il consuntivo 2018. Dal 1 agosto, ovvero meno di una settimana, anche questa possibilità non sarà più percorribile con uffici sempre più vuoti ai vari piani del Comune (dal 2015 al 2018 si è passati da 325 a 271 dipendenti, cifra che con quota 100 andrà nuovamente a diminuire) e l’assenza delle condizioni per poter indire concorsi sia per il 2019 che il 2020, o anche negli anni successivi se sarà dichiarato il dissesto.
    Intanto, però, il 4 luglio veniva scritta una relazione sulla gestione dell’anno 2018, ovvero il primo completamente gestito dalla terna commissariale: 104 pagine che dovrebbero accompagnare un atto amministrativo, che ad oggi non esiste ancora, ma che certificavano un risultato finanziario d’amministrazione pari a 33.069.636,02 euro ed un patrimonio netto di 43.200.565,37 euro. Tutto bene? Non proprio, visto che la velocità della gestione della spesa corrente (ovvero la percentuale tra pagamenti e cifre impegnate) dopo anni di salita (47,63% nel 2015, 56,30% nel 2016, 60,54 % nel 2017) riprende a scendere (59,75 % nel 2018), e diminuisce anche la velocità di riscossione nello stesso periodo dal 2015 al 2018 (74,68% – 71,55% – 72,08%  – 67,93%) mentre aumenta la pressione tributaria (entrate/popolazione) che partita da 657,58 euro nel 2015, ha avuto un calo negli anni a seguire ma ora è in fase di aumento: 564,95 – 585,52 – 602,11.
    Altalenante l’incidenza dei residui passivi (65,86% – 77,77% – 58,60% – 71,07%) ed attivi (58,69% – 103,12% – 74,09 % – 88,19 %), ed oltre che il personale a Lamezia Terme diminuisce anche la popolazione residente sulla carta (partendo dai 70.232 del 2015 si era saliti a 70.891 l’anno dopo, con poi decrescita a 70.834 e 70.598 nelle due annualità successive).
    Rimanendo in tema di accantonamenti, i 56.587.180,57 euro previsti nel consuntivo 2018 son divisi tra:

    • fondo crediti di dubbia esigibilità 19.460.306,48
    • fondo anticipazione liquidità 34.177.637,17
    • fondo perdite società partecipate 2.035.978,81
    • fondo contenzioso 600.000,00
    • altri accantonamenti 313.258,11

    CHI BEN COMINCIA È A META’ DELL’OPERA
    Un primo campanello d’allarme in ottica dissesto, non recepito però come tale, era arrivato a gennaio, quando il Comune di Lamezia Terme aveva ottenuto 8.932.162,38 euro (rimanendo nel limite massimo di 200 euro per abitante) come anticipazione di cassa per il pagamento delle retribuzioni del personale dipendente, al pagamento delle rate dei mutui e di prestiti obbligazionari, nonché all’espletamento dei servizi locali indispensabili. Tale somma era richiesta quindi per evitare gli estremi del dissesto poiché destinata alle amministrazioni sciolte per infiltrazioni mafiose, cifra però da restituire in 10 anni, decorrenti dall’anno successivo a quello in cui viene erogata l’anticipazione, con rate annuali di pari importo che in via Perugini graveranno dal bilancio 2020.  
    È seguito poi un bilancio di previsione approvato il 15 maggio, e non entro fine marzo, l’assenza di qualsivoglia relazione sulle società partecipate, un consuntivo che non arriva ed un assestamento di bilancio che comporta oscuri presagi invece che rassicurare sulla buona gestione dei conti.
    Parafrasando Elio e le storie tese, “dissesto si, dissesto no, dissesto bho”.

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