Scioglimento confermato del consiglio comunale anche per “disordine amministrativo”

Citata anche la revoca del servizio mensa, contestando la mancata attestazione della certificazione antimafia revocata successivamente

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    Una settimana dopo l’udienza pubblica, arriva la sentenza che conferma lo scioglimento del consiglio comunale di Lamezia Terme anche in Consiglio di Stato, terzo grado di giudizio che aveva già concesso la sospensiva ed il ritorno della terna commissariale prima della scadenza dei 18 mesi decretati a novembre 2017 per permettere la possibilità, poi concretizzata, della proroga fino al novembre 2019.

    Dopo un recap delle “puntate precedenti”, i giudici romani entrano nell’ambito delle contestazioni di ex sindaco ed assessori, non negando che gli affidamenti contestati siano avvenuti già prima delle elezioni del maggio 2015 ma specificando che le aggiudicazioni definitive siano arrivate negli anni successivi, e che «è emersa l’esistenza di un sistema basato sull’aggiudicazione degli appalti sempre alle stesse imprese attraverso una rotazione delle stesse, sul recupero dei ribassi offerti in gara mediante proroghe degli appalti e sulla mancanza di programmazione e controlli in corso d’opera (p. 23 del ricorso), mentre il primo giudice, a ben vedere, non ha accertato l’insussistenza di dette circostanze, ma – dopo avere rilevato la natura assertiva degli atti inerenti a tale supposto meccanismo – ha argomentato le ragioni per le quali, a suo dire, le circostanze non potevano assumere il significato indiziario e la rilevanza attribuiti per dimostrare lo scioglimento, sicché, come bene ha rilevato la predetta ordinanza, non può ritenersi che sulla inconsistenza fattuale di tali elementi indiziari si fosse formato un giudicato, controvertendosi in appello, appunto, sul significato e sulla rilevanza che gli elementi addotti dal Ministero dell’Interno potevano rivestire per integrare i presupposti atti a giustificare la misura dissolutoria di cui all’art. 143 del T.U.E.L.».

    Il Collegio contesta che «la disciolta amministrazione comunale, anziché operare in modo “esemplare” come pure affermano gli appellati nella loro memoria (p. 29), non ha nemmeno atteso, incontestabilmente, lo scadere del termine previsto dall’art. 92, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011 al fine di acquisire la documentazione antimafia, per affidare il servizio di -OMISSIS- ad una società inquinata da grave condizionamento mafioso, -OMISSIS-, che da moltissimi anni continuava a svolgere detto servizio, mentre sarebbe stato opportuno attendere l’emissione del provvedimento antimafia liberatorio. Soltanto due mesi dopo l’aggiudicazione, invece, è pervenuto -OMISSIS- 2017 il provvedimento antimafia a carattere interdittivo, con la conseguente, istantanea perché necessitata, revoca dell’affidamento». Il riferimento parrebbe quindi quello al servizio mensa scolastica, curato sia sotto l’amministrazione Speranza che sotto quella Mascaro dalla medesima ditta, ma per il Consiglio di Stato « il Comune non poteva e non doveva ignorare tali elementi, che ne hanno portato all’interdizione antimafia solo 2 mesi dopo l’aggiudicazione troppo frettolosamente disposta» riscontrando «segnali di netto favoritismo nella conclusione della gara, che fanno ritenere sussistenti evidenti responsabilità anche di carattere penale, si traggono anche dalla gestione dell’iter procedimentale della gara, in cui parte attiva risultano essere funzionari comunali che orientano la stessa all’aggiudicazione».

    Altra ditta che al cambiare dell’amministrazione comunale diventa sospetta è quella della manutenzione stradale, poiché il «contratto stipulato nel 2016, lavori per la -OMISSIS-, per l’importo di € 270.000,00, lavori ai quali è seguita, nei mesi di -OMISSIS- del 2016, l’assegnazione, sempre alla medesima impresa e senza gara, per un importo superiore ad € 40.000,00, soglia di rilievo comunitario. Gli accertamenti effettuati dalle forze dell’ordine hanno consentito di acclarare che il titolare dell’impresa individuale aggiudicataria di tali lavori, -OMISSIS-, è persona gravata da numerose segnalazioni all’autorità giudiziaria per diverse fattispecie di reato e ha rapporti di frequentazione con soggetti riconducibili alla locale criminalità organizzata», anche se subito dopo si specifica che « rilevano la vicinanza al mondo della criminalità, anche se non di stampo mafioso, essendo egli stato trovato nel 2007 in compagna di soggetto pluripregiudicato per furto, lesioni e associazione a delinquere finalizzata al traffico e alla detenzione di armi e nel 2014 e nel 2015 – quindi di recente – in compagnia di soggetto di soggetto pregiudicato anche per sequestro di persona».

    Si aggiunge anzi che «a tale riguardo non è necessario, a differenza di quanto ha sostenuto il primo giudice, che le imprese favorite da tale sistema di illegalità diffusa siano direttamente o indirettamente inquinate dalla mafia, come peraltro nel caso – pur grave ed eloquente e, si ripete, in sé bastevole – di -OMISSIS-, poiché il condizionamento mafioso può bene palesarsi anche in un sistema spartitorio che vede affidare senza gara le commesse pubbliche da parte dell’amministrazione comunale».

    Lo stesso Consiglio di Stato sottolinea però che «se è vero che il mero disordine amministrativo o che semplici prassi quanto meno opinabili, come quella ora descritta, o addirittura estese sequenze di atti illegittimi adottati dal Comune non bastano, in sé, a giustificare la misura dissolutoria, secondo quanto afferma la costante giurisprudenza di questo Consiglio, non si può negare però che le irregolarità nella gestione dei pubblici appalti, come dimostra in modo evidente la vicenda di -OMISSIS- o anche quella di -OMISSIS-, possono costituire un indice significativo della grave compromissione che l’esercizio delle funzioni amministrative risente per effetto della penetrazione ormai diffusa delle logiche mafiose all’interno dell’apparato politico e amministrativo locale, ad ogni livello».

    Gli stessi giudici reputano che « occorre ricordare che l’art. 143 del T.U.E.L., al comma 1 (nel testo novellato dall’art. 2, comma 30, della l. n. 94 del 2009), richiede che gli elementi capaci di evidenziare la sussistenza di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato devono essere «concreti, univoci e rilevanti» ed assumere una valenza tale da determinare «un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati», ma confermano lo scioglimento anche in assenza degli stessi atti inficiati inequivocabilmente evidenziando la possibilità che questo potesse accadere. Si reputa che «il nesso di interdipendenza, secondo la logica della c.d. probabilità cruciale e nell’ottica di una complessiva valutazione, sussista, in quanto i condizionamenti mafiosi sulla vita amministrativa dell’ente, per i collegamenti diretti o indiretti dei suoi amministratori con la ‘ndrangheta, si sono riflessi in un generale disordine amministrativo nella gestione degli appalti pubblici, con affidamenti diretti e proroghe in favore delle medesime imprese, e almeno in un caso – quello della -OMISSIS- – nell’affidamento di una commessa ad una impresa condizionata dalla mafia senza nemmeno attendere che spirasse il termine di cui all’art. 92, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011 per l’acquisizione della documentazione antimafia, all’esito di un iter procedimentale contraddistinto da irregolarità.»

    Gi.Ga.

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