“Sotto la prima squadra non servono solo allenatori, ma istruttori ed educatori qualificati che sappiano confrontarsi”

Dall'esperienza in campo in serie A a quella con il settore giovanile per Marco Ferrante, che da oggi affiancherà la Promosport per 3 giorni di stage al “Rocco Riga”.

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Dall’esperienza in campo in serie A a quella con il settore giovanile per Marco Ferrante, che da oggi affiancherà la Promosport per 3 giorni di stage al “Rocco Riga”.

Gianluca Cullice, responsabile scuola calcio, rimarca l’importanza di questa esperienza con chi ha calcato grossi palcoscenici, mentre Ernesto Gabriele come responsabile del settore giovanile ricorda come «ho lavorato con lui nella mia esperienza a Messina, da allora ci lega un rapporto di amicizia. Ferrante ha una visione del calcio sincera, che guarda al mondo dei giovani in modo chiaro e professionale. Avremo così la possibilità di capire quali margini di crescita possano avere i nostri ragazzi».

Il direttore generale Alessandro Vinci si sofferma sulla continuità: «il problema dei settori giovanili è serio a livello nazionale, un numero elevato di stranieri anche nelle categorie di formazione frena alcuni sviluppi. Come Promosport noi abbiamo scelto tecnici qualificati, con un lavoro di squadra concreto che riguarda tutti i livelli giovanili, ed abbiamo raggiunto buoni risultati con tutte le varie squadre. Il lavoro sul lungo periodo è quello di ambire ad essere quel calciatore su 30.000 che approdo dai settori giovanili nel professionismo, ma prima che in campo bisogna essere professionisti nella vita e nella crescita».

La collaborazione con Ferrante viene così inquadrata nella necessità «di avere un contatto diretto con realtà organizzate in modo diverso, dare un approccio che ci aiuti a migliorare il lavoro tra Giovanissimi, Allievi e Juniores per raggiungere anche le scuole elite con il settore giovanile», ricordando come «giorno 5 avremo anche lo stage per il settore femminile, iniziato lo scorso anno e su cui abbiamo già avuto prime soddisfazioni».

Il vicepresidente Enrico Liotta si sofferma invece sull’idea di «crescita di tutto un progetto, che dopo il lato femminile prossimamente avrà anche una squadra dedicata al mondo della disabilità. Il settore giovanile ci ha già dato la base per gli under della prima squadra, era così in Promozione e lo sarà in Eccellenza».

Dopo il giro di ringraziamenti, Ferrante valuta che «nel calcio moderno si parla poco seriamente di calcio giovanile, lo scouting della serie A punta più sul mercato estero perché costa meno e si hanno meno sforzi. Ai miei tempi il Napoli mi prese a 13 anni, la società investì per 4 o 5 anni su un gruppo in formazione e non tutti arrivammo poi in serie A. Questa pazienza non c’è più».

Il parere è che serva così «organizzazione e serietà, ma neanche fretta. Non si ci può sbilanciare in giudizi netti su un tredicenne, e porto il caso di Fabio Cannavaro: a quell’età aveva carattere, voglia, temperamento ma non le giuste qualità tecniche, e per questo fece esperienza in una società satellite. Sotto la prima squadra non servono solo allenatori, ma istruttori ed educatori qualificati che sappiano confrontarsi con il contesto familiare e sociale».

Ferrante riporta poi l’esperienza sullo scouting: «in Africa hai molti giovani fisicamente pronti, ma che non hanno le nozioni tattiche, e la formazione viene anche fermata dalle norme burocratiche. Nel mondo del professionismo trovano così spazio molti comunitari ed extracomunitari, anche a livello giovanile ci sono rose con 14 stranieri su 24 della rosa, è un trend che poi vediamo viene pagato dalla Nazionale».

La visione è quindi quella di «non badare nel settore giovanile al singolo risultato, ma alla crescita individuale dell’atleta con non tecnici ma educatori che sappiano rapportarsi al meglio con i ragazzi. Per fare questo non basta per tutti il tempo dell’allenamento, sono importanti le schede tecniche ma non affinare solo un aspetto individuale».

Ci sono poi gli aspetti fuori dal campo: «durante una partita del settore giovanile riprendemmo i 90 minuti non della partita ma della tribuna. I genitori che si erano rivisti sullo schermo del teatro capirono con i propri occhi gli eccessi, provarono l’imbarazzo nel capire come avevano vissuto la partita e l’astio verso i giocatori in campo. Bisogna far capire che si lavora per il bene dei figli e non della società».

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